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Padron, e fammi patir quel fupplicio,

Che vuoi: ma c'ho a far io della tua camera
C. Ecco difcrezione del mio Erifilo;

Così ha penfier, così follecitudine.
Delle mie cofe e fue: quefto è l'ufizio
Di buon figliuol. . Ne lui anco riprendere
In quefto dei: che può far meglio un giovane
Che fuo padre unitar? Se tu del Nebbia
Non men ti fidi, che di te medefimo:
Perchè a fidar non fe n'ha anche egli, e credere,
Come credevi ancora tu, che affiduo

Star dovelle alla cura, e alla cuftodia
Delle tue cofe? Non tolto che volto gli
Abbia le fpalle, partirfi, e la camera
Lafciar aperta? C. Son disfatto, o povero,
O ruinato me! V. Padrone, pigliaci,
Tanto ch'è fresco il mal, qualche rimedio.
Poich' io ti veggo qui, non voglio perdere
La fperanza, che tofto non recuperi
La calla tua, e ben credo che t'ha Domene
Dio fatto a tempo tornar. C. Ha vestigio,
Hai traccia, fu la qual ani poffi mettere
Per ritrovarla? V. Tanto travagliatomi

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Son oggi, e tanto fon ito avvolgendomi
Di quà e di là, come un bracco, che credo di
Saper moftrar, dove fia quefta lepore.

C. Perchè non me l'hai già detto, fapendolo?
V. Non dico ch'io lo fappia certo; dicoti,
Ch'io credo di faperlo. C. A chi hai tu l'animo
Che l'habbia tolta? V. Tel dirò; mà tirati
Un po'in quà: più ancora: un poco fcostati
Da quella porta in tutto. C. Di chi temi tu,
Che polla udirci? V. Di colui, ch'io dubito

Che l'abbia avuta: C. E' si appreffo, che intendere

Cipolla? V. E' in quefta cafa là qual proffimo cop
Hai da man deftra. C. Tu credi, che tolta la
Abbia questo Ruffian, che qui dentro abita?

V. Lo credo, e ne son certo. C. Ma che indizie
N' hai tu? V. Non pur io n'ho indizio, mà dicati
Ch' io n' ho certezza; ma per Dio non perdere

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Tempo in voler, ch' io narri con che induftria,
Con che fatica, con ch'arte, a notizia
Or fia venuto, ch'ogni indugia nocere,
Ti potria troppo: perchè ti certifico,
·Ch'l trifto s'apparecchia di fuggirsene
All' alba, tosto che le porte s'aprano.

KIC

Volpio råth dem Alten, die Polizei zu Hülfe zu nehmen, i und Haussuchung bei dem Kuppler zu halten. Man finder die Geldkiste bei ihm, und er wird verklagt. Zum Unglüc aber trifft der Alte mit dem Trappola zusammen,, der sich ve für den Kaufmann hat ausgeben müssen, und in dieser Abs ficht die Kleider des Alten angelegt hat. Er fragt ihn, wie er zu diesen Kleidern gekommen sey; und er géstéht ihm alles. Durch die Geschicklichkeit des Fulĉio, der des Charidoro, des Freundes des Erofilo, Bedienter ist, wird alles wieder gut. Er hat den Kuppler in Furcht gesagt, bestraft zu wer den; und da sein Herr ein Sohn des Polizeirichters ist, ihn beredet, diesem seine Geliebte auszuliefern, um allen weitern schlimmen Folgen vorzubeugen. Im Namen seines Herrn kommt er zum Chrysobolo, und erdichtet, der Kuppler habe ihn verklagt, weil er ihm die Geldkiste wieder genommen, und doch das dafür erhandelte Mädchen nicht zurück gegeben. habe; dieß müsse er entweder thun, oder ihn durch eine ans sehnliche Geldsumme abzukaufen suchen. Der Alte gerdth in Verlegenheit, weil die Geliebte seinës Sohns nicht, in dessen Hånden ist, und versteht sich endlich Schandé halber; dazu, dem Ruffiand eine beträchtliche Summe auszuzahlen z

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und Fulcis beredet ihn noch oben drein, diese Auszahlung durch seinen Sohn und dessen Bedienten Volpino, den der Alte hatte schließen lassen, zu veranstalten. Volpino erlangt also seine Freiheit wieder, und Erofilo wird in Stand gesetzt, mit dem erbeuteten Gelde seine Geliebte zu unterhalten. Sonderbar ist, das Kompliment, womit) Fulcio, am Schluß des Stücks, die Zuschauer abfertigtsnoT Or ritornatevi,

Brigata, a casa, perchè quefta giovane,

Ch'io fon per menar meco, non vuole effere
Veduta, che le par forfe, che in ordine
Non fia a fuo modo, d'ornamenti dicovi,
Perchè nel refto non è men, che fieno

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Da ogni tempo l'altre donne, in ordine, avod
E dovendo il Ruffiano anco fuggirlene,

Non vuole, e non farebbe a fuo propofito,
Che lo vedeffe tanta moltitudine.

Aretino.

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Pietro Aretino, aus Arezzo im Toskanischen Gebiete, i geb. 1492, berühmt und berüchtigt genug durch seine bitterne Satiren und fittenlosen Dialogen und Sonnete. Den thym gewöhnlich gegebnen Beinamen II Divino Aretino soll er sich selbst zuerst auf einer Gedächtnißmünze beigelegt haben,' deren Kehrseite ihn auf einem Throne sihend, und vork" Fürsten und Gesandten Geschenke empfangend, vorstellte, mit der Umschrift: I Principi tributati da Popoli tributano il Servidor loro. Er starb zu Venedig, 1557 →→ Seine fünf, in Prose geschriebenen, Komödien heissen: Il Marefcalco La Cortegiano La Talanta L'HiIl Filofofo. Die erfte und die beiden legtern wurden mit den abgeänderten Titeln: l Cavallerizzo, Il

pocrito

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Finto, und Il Sofifia von Doroneti zu Vicenza unter dem Namen des sonst bekannten, aber weit züchtigern, Dichters, Luigi Tanfills, herausgegeben, um der Ahndung der Ing quisition zu entgehen, die einmal alle Werke des Aretino verboten hatte. Meisterwerke, sind übrigens diese seine Kos mödien gewiß nicht; hie und da sprühen freilich einzelne Funken von Wih und Laune; mit unter aber laufen auch die armseligsten Späße und schaohsten Zweideutigkeiten. ~ Seiten ist auch die Intrigue von Bedeutung, und an Feinheit des Plans, der Oekonomie, und Charakterzeichnung ist vollends nicht zu denken. Hier sind die zweite und dritte Scene des ersten Akts vom Hipocritos sieno

Hipocrito Solo..

Chi non fa fingere, non sa vivere, peròchè la fimulazione è uno scudo, che spunta ogní arine, anzi una arma, che fpezzá ogni fcudo: e mentre fi prevale de l'humiltade apparente, converfa la religione in astuzia, predomina la robba, l'honoré, e gli animi altrui. Non han che brigare gli gnatoni con noi altri, conciofia che il porcheggiare de la lor gola, mescolato con l'affordaggine della lor ciarla, fatia faftidiofiffimamente: oltre a questo i gaglioffacci Ivergognano ciafcuno, che gli intertiene, onde è forza torfigli da canto, peroche è ben bue cbi crede a le adulazioni, che in fi sfacciata maniera gli cafcano giu de la bocca. Dico, che bifogna ferrargli l'ufcio, accarezzando un mio pari, da che, fotto fpecie di bontà, mi vaglio d'ogni triftizia. Avenga che è un bel tratto quello del Demonio, quando fi fà adorar për fanto. Certo ch' io non apro le braccia con maraviglia, mentre i miei benefattori mi pasteggiano, exaltando la fciocchezza de loro detti con quello oh lungo, che accrefce autoritade a l'amirazione. Mà lo dogli ne l'opre pie, ne le virtù, ne la vita, e ne la

e

carità.

carità. E per affecurargli ne le crapule, ne le luffurie, e ne le usure, ristrettomi un tratto ne le spalle, con un certo ghigno da beffe, allego la fragilità de la carne, e cio fò, perche chi non fi inoftra amico de i vizii, dis venta nimico de gli huomini. Ma chi fento io? Neque in ira tua corripias me.

GUARDABASSO, HIPOCRITO, LISEO,

Guar. Andava a punto cercando la vostra Rive

renzia.

Hip. Bè?

Guar. Il meffere vorria dirvi, cioè parlarvi
Hip. Volentieri.

Guar.

Sarà di là via.

Hip. In nomine Dei.

Guar. Vedetelo in fu la porta.

Hip. Tanto meglio.

Guar. Eccolo a voi.

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Hip. A fagitta volante.

Lif.

Benvenuto, e buond anno.

Hip. La carità sia con voi.

Lif. La voftra bontade mi perdoni, cafo, ch'io le interrompa le fue divozioni.

Hip. Il proflimo precede al'orare, e la carità fupera il digiuno.

Lif Hor iò, che non so notar punto punto, ini ritrovo in un gran pelago, tal che, fe il voftro adiutorio non mi diventa zucca, me ne fummergo giulo. Hip. Non fon per defraudare la carità.

Lif Sono in travaglio.

Hip. Dominus providebit.

Li. Ho ben cotesta speranza.

Hip. Fermativici pure.

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