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di procacciarmi colla forza un bene, che per me faria una fventura, poich' io il difprezzo e l'abborro.

Fil. (a Fulg.) Voi dicevate: che voce! che voce! e io direi che fentimenti! che nobili fentimenti!

Fulg. (a Fil. affannofo) Si, avete ragione; mà quella voce quella voce... bafta; fentiamo, fentiaino. (torna alla porta) Non vorrei, che tratteneste nel parlar meco uno sfogo troppo dovuto alla voftra fituazione, credendo ch'io foffi capace o di tradirvi, palefando i vostri detti, o d'indurvi a parlare, mentre qui fosse il Padre voftro. No, no, ftate ficura; egli non è pre

fente; è fuor di Cala...

Beat. Non più, Signore, non più. Vi perdono il torto che mi fate, poichè non mi conofcete; mà arroffirei, fe mi fentiffi anche folo difpofta a parlar di mio Padre, quando è lontano, in modi diversi da quelli che adoprerei lui prefente. No, no; l'animo mio può effere tormentato, ed afflitto; mà non potrà mai effere perverfo. Penferò, parlerò del mio Padre, de'cafi miei, egualmente da me fola, che in faccia di tutto il mondo, fenza mai temere d'effere rimproverata.

Fulg. (che ha dati frequenti segni di forte commozione a Fil.) Come fi può refiftere a cosi dolci parole?

Fil. (commoffo anch'egli) Io mi maraviglio poco di voi, mà bensi molto di ine. Interrogate, inter

rogate.

Fulg. Lodo, e ammiro, o Signora, il vostro saggio penfare; e fempre più fento crefcere, in ine la brama di prestarvi foccorfo, fe a tanto valer potrà l'opera mia, e quella d'un ainico che qui meco vi ammira e compiange. Ciò che voi non chiedete, io fteffo voglio e debbo dirvi. Io fono il Contè Fulgentio Ventori Parmigiano e l'altro è il Conte Filiate Rafchi, Parmi

giano egli pure. Siamo in Napoli da due giorni per alcuni noftri affari: mà diviene ora il nostro affar principale, quello di fervire voi fola.

Fil. (anch'egli alla porta) Signora, unifco alle promelle dell' Amico le mie ancora; e v'accerto, che tutto faremo per trarvi presto d'affanno. Parlate libera

mente.

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Beat. Vi ringrazio ambidue, che scoperto m'abbiate i vostri nomi, poichè così mi fi fa noto, a cui io fia debitrice della mia riconoscenza per le generose offerte, che m'avete fatte. Ora poi m'accingo a palefarvi io medefima liberamente e con ingenue parole la trifta mia fituazione. Io fono, fe nol fapete, la Contella Beatrice Anfelmi, unica figlia di Don Aftolfo, Padrone di questa Cafa. Mio Padre m'ha fempre dati tutti i` contraffegni d'affetto, ai quali ho fempre corrisposto colla maggiore docilità e tenerezza. Senza mia faputa, mi sceglie in ifpofo un certo Marchefe Tiberio Cruscati, Fiorentino, giovine, nobile, ricco, d'aspetto che può facilmente piacere, e pronto a stabilirsi in Napoli, perch' io non debba allontanarmi troppo dal Padre. Mà, oh Dio! quella prima volto ch'egli mi vien presentato, concepifco per lui una invincibile antipatia. Il Padre me lo riconduce di nuovo, Allora tratto dispettofamente il Cavaliere, che parte fdegnato; e dichiaro al Padre, di non poter in modo alcuno fuperare la mia ripugnanza, Ciò accade appunto jerfera. Mio Padre pien di furore mi ha chiufa in questa Camera, colla minaccia di qui tenermi, fin ch'io in'induca ad ubbidire. Altro non posso dirvi, poichè altro non so. Pure fono preparata a qualunque fventura, piutosto che unirmi ad uno sposo abborrito.

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Fulg. (nel tempo di quefto difcorfo ha dati alternativamente, indizi di forprefa, di commozione affai rimarchevoli: refta attoaito fenza parlare.)

Fil. (Commoffo anch'egli, mà più moderatamente) Signora, fiete degna di tutta la noftra compaffione; e fi adopreremo l'amico, ed io, a ridur voftro Padre ad un più fano partito.

Fulg. (fuori di fe, e fenza rifteffione) Ah! cara ed ainabile Beatrice, perchè non pofl'io forzar questa porta, rapirvi dalle mani---

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Beat. Signore, che dite mai? In quefta guisa infultate una Dana, prevalendovi della fua inifera condizione? Forfe farete ambidue egualmente disposti a foccorermi; ma panni di scorgere più faviezza e prudenza nell' Amico voftro. Però a lui folo mi raccomando; mi allontano di quefta porta; nè credo, che, il mio decoro permetta di far più parole con vọi.

誓 Fulg. (con maggior trafporto) No, adorata Beatrice, afcoltatemi per pietà... Caccoftandofi fempre alla porta,)

Fil. (prendendolo fortemente per un braccio, efcoftandolo)! Eh! via, non fate altre pazzie; che ormai fono ftanco. E un prodigio, che il Padrone di Cafa non fia ancora venuto; ed è un' imprudenza il trattenersi di più.

Fulg. (paffeggia furente; e il fazzoletto che già di tempo in tempo ha tenuto full' occhio, comincia a ftracciarlo con rabbia.) Fil. Fermatevi, vi dico. Dove avete la tefta? o per dir meglio, dove avete il giudizio? Già udifte, che quella Donna ha fubito capito, che ne avete poco, e ch'io ne ho più di voi.

Fulg. Perchè io fono inamorato, e voi no.

Fil. (con forprefa) Voi inamorato! Come? Di chi? Fulg. Come! come! come fi fa a innamorare, Di chi? Di quella---

Fil. Ho capito: di quella Signorina che non avete ancora veduta. (der.dendolo) Non è così?

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Fulg. Che m'importa il non averla veduta; fe ha una voce che incanta, un parlar che innamora, 'e una fciagura, che intenerifce e fa piangere? L

Fil. Ma, e l'occhio?--

Fulg. Eh! che all'occhio non fento quafi più nulla.

Fil Orsú diciamo due parole ful serio, se si può̟. Che penserefte di fare?

Fulg. Liberarla dalla violenza, che le ufa fuo Padre; domandarla per me, e fubito fpofarla.

Fil. E fe quando la vedrete, non vi piacelle?
Fulg. E' impoffibile.

Fil. E le quando ella vi vede, non piaceste a lei?
Fulg. Morrei dalla difperazione: ajutatemi...

Fil Adagio, adagio. Voglio fervirvi, ma non voglio precipitarvi. Siete folo di voftra Famiglia, ed è cofa lodevole, che penfiate a prender moglie. II voftro temperamento impetuofo può farvi una volta l'altra cadere in qualche laccio poco decente. Pare, che codefta Giovane debba effere un buon Partito. Ufciamo tofto di quà. Cerchiamo d' avere per la città notizie, che fi conferinino le qualità di quefta famiglia, Se le troviamo adeguate all'eller voftro, lafciatevi fervire. Io ne farò al Padre la domanda. Andiamo.

Fulg. Tutto quello che volete; mà prefto, presto, per carità. Crivolgendofi verfo la Camera chiufa.)

File Si, prefto, prefto: già ci conofciamo, che è un pezzo.

Fulg. Andiamo dunque; e giriamo pur tutto Nas poli, fe cosi volete.

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Fulg. Eh! che dell' occhio? Son già affatto guarito.

Fil. Evviva, evviva. Nuovo rimedio per gli occhi: voce di Donna giovane!

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Fulg. (verfo la porta) Si, cólà dentro racchiudefi il rimedio per ogni mio male, e il mezzo ficuro per rendermi pienamente felice, O fortunato Ponio, che m'hai fatto venire fra queste mura! (partono.)

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Ma

Von dem Abbate Andrea Willi, einem Veroneser, if pas italianische Theater mit verschiedenen Lustspielen bereis chert worden, deren Stof fast durchgehends aus französischen Erzählungen oder Schauspielen entlehnt, und nur in einigen Umständen und Nebencharakteren etwas abgeändert ist. Von feinen Opere Teatrali, deren Sammlung zu Venedig, 1778. 8. angefangen wurde, sind wenigstens fünf Lände heraus. Ich habe die drei ersten vor mir, in welchen fols gende Komödien befindlich sind: Enrichetta, o fia, la Figlia Ravveduta Nanci, ovvero, la Condotta Imprudente Rofalia, ovvero, l'Amor Conjugale rianna e Selicourt, ovvero, i Spofi Perfeguitati- Cla rị, ovvero, l'Amor Semplice Il Paftore e la Paftorella dell' Alpi, Hervorstechende Schönheiten sucht man in biefen Stücken vergebens; weder die Charakterzeichnung, noch die Verbindung der Scenen, noch die Bearbeitung des Dialoge verrath Talent und feine dramatische Kunst. Bei dem Stücke, Clard, hatte Willi die Marmontelische Erzählung L' Amitié à l' Epreuve vor Augen, aus welcher auch Hr. Weiße den Stof eines seiner Lustspiele nahm. Der naife und unbefangne Charakter der Clary ist glücklich

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