Ariosto. S' io ti foffi vicin, forfe la mazza Per baftonarmi piglierefti tofto
(Von diesem, schon oben vorgekommenen, Dichter maż chen zwölf Satiren das drittė Buch der von Sansovino gesammelten Sette Libri di Satire aus, die sich durch viele innere Vorzüge auszeichnen; nur ist ihre Schreibart nicht ganz dieser Gattung angemessen, weil sie oft allzu poetisch wird. Der Inhalt der meisten besteht aus Klagen über seine perlorne Freiheit, indem er sie während seiner Verbannung, in Frankreich schrieb. Folgende ist die siebente darunter; und an Giuliano Buonaccorsi, Schäßmeister in der Proź vence, gerichtet. Er schildert darin dié Treulosigkeit det meisten Freunde in widrigen Schicksalen.)
Quanto Quanto più il mondo d'ogn' intorno guardo, Onorato Giulian, più d'ora in ora
Di voi fempre lodar mi ftruggo ed ardo; E veggio più quanto dal volgo è fuora L'invitta onefta e chiara cortefia,
Che, come in proprio albergo, in voi dimora. Veggio, e per prova il fo, quant' ella fia Da pregiar oggi più, quant' è più rara, E quanti ha men per la fua dritta via. Come il fent' io? come la coppia cara Meco il confente? che fuggiam per lei Due già di morte, e l'un da vita amara:
Se non m'intende ogn' uom, com'io vorrei, Ben m'intend'io, che la cortefe mano Senti' fi larga a'gran bifogni miei. Oggi chi cerca l'affatica in vano,
Per ritrovar più d'un, che in grado prenda, Più che 'l profitto, un gentile atto umano. Non manca già chi con menfogne spenda Tante fi nove é fplendide parole,
Quafi uno ardente amor lo fproni, e'ncenda: Poi, fe'l bifogno vien, fur vento e fole Le fue impromeffe; ne'l conofci appena, Si contrario divien da quel che fuole. Oggi chi moftra aver la borfa piena Quel trova amici, e chi la porta vota, Null' altro fcerne, che travaglio e pena. Colui ch'è in fondo dell' ingiufta rota, Che i miglior preme, follevando i pravi, Non è vil animal che non per côta. E tal, ch' avanti nel tuo penfavi
Per fangue, e per amor congiunto e fido, Sovente è 'l primo che 'l tuo pefo aggravi. Molti han d'amici falfamente il grido Che, veggendo venir periglio e noja, Seguon fortuna, come il volgo infido. Mentre c'ha pace il ciel, la terra gioja, Staffi tra noi la rondinella vaga,
Poi fugge il verno, quando il freddo annoja. Chiunque al mondo di parer s' appaga, Più che dell' effer poi fidato amico, Fugge da quel che la fortuna impiaga. Quando ariete ha il fol, nel colle aprico Surgon frondi viole erbette e fiori, Poi ritornando il giel, fi fta mendico. Mifer colui, che in ciò, ch' appar di fuori, Pon troppa fede, e follemente estima Che in cima della lingua il cor dimori. Il faggio in fe colla credenza lima
La più gran parte dell' altrui promesse E fol amico tien chi prova in prima. Non derelitto e fol farebbe fpeffe
Volte colui ch' aver compagni crede, S'avanti il tempo rio così faceffe. Porta danno in altrui la troppa fede,
Come la poca aver vergogna apporta, E'l profitto e l'onor nel mezzo fiede. Ma tanti veggio andar per la via torta, Che più ne intende chi f'appiglia al meno E la tarda credenza è fida fcorta. Ahi voto di virtù, di vizj pieno
Secol fallace e rio, ch' a pena trovi Uno amico fedel dentro il tuo feno. Or con disegni inufitati e novi
Vendon la cortefia, quella penfando Non come altrui, ma a fe medesmo giovi Il loco difegnando e'l come e'l quando Util più rechi, quafi merce efterna, Che ci venga da lunge il mar folcando. Ma, quanta men tra noi virtù fi fcerna, Più di voi lucerà chiara e cortefe, Giulian diletto, la memoria eterna. Più d'una penna ancor farà palese,
Come al ben più d'altrui, ch' al proprio fteffe Fur fempre e fon le voglie voftre intefe. E, fe l'alto defir, ch' io porto impreffo, Or con l'opre adempir fortuna toglie, Le carte il pagheran ch' io rigo fpeffo. Sappia oggi il mondo, come in voi f'accoglie Tante chiare virtù, quant' occhi in Argo, Fido foccorfo, e pio dell' altrui doglie, Fermo chiaro gentil cortefe e largo.
(Er lebte von 1615 bis 1673, und machte sich als Landschaftmahler und Dichter gleich berühmt; und seine, oft ers jählten, Lebensumstände enthalten viel Merkwürdiges. Die Gegenstände seiner sechs, im juvenalischen Geiste geschries bener Satiren, die erst nach seinem Tode im Druck erschiez nen, find: Musik, Poefie, Mahlerei, Krieg, Neid und Wolluft. Durch ihre zu große Länge verloren sie jedoch an immer gleicher Stärke des Vortrags. Die dritte Satire über die Mahlerei ist eine der schönsten. Von dem geschicks ten Künstler und Kunstkenner, Hrn. Fiorillo in Göttingen, ist sie daselbst, 1785 in 8. besonders herausgegeben, und mit schäzbaren erläuternden Anmerkungen begleitet worden, des ren sie der håufigen Anspielungen wegen, bedarf. Folgendes ist nur eine Stelle daraus, worin er über den Mißbrauch und die Entweihung seiner Lieblingskunft eifert.)
Tutto il mondo è Pittore. Onde il Tofcano Paolo 1) fe dire a certi Ambafciatori, Che chiedeano d'eftrar non lo che grano; Ch' Ei non volea che il grano ufciffe fuori, Ma che in quel cambio avria loro conceffa Di Prelati una tratta, o di Pittori. L'arena dell' Egeo non è fi spessa,
Sull' Egitto non fur tanti Ranocchi
Le Formiche in Teffaglia, i Mori in Feffa. 2) Il grand' Argo del Ciel non ha tant' occhi; Sono meno le Spie, meno i Pedanti: Ne vidde Crefo mai tanti baiocchi. Tutto Pittori è il Mondo. E pur di tanti Non faran due nell' infinito Coro, Che non fian delle Lettere ignoranti.
1) Il Papa Paolo V. 2) Fessa, o Fes, o vero Fez, è la piùì
Salvator Filofofo e Pittor fù Metrodoro,
Ei coftumi e i color fapea correggere: E fcriffe l'Arte in verfi Apollodoro.. Quefto mèftiero ogn' un corre ad eleggere: Ma di coftor, che a lavorar f'accingono, Quattro quinti, per Dio, non fanno leggere. Stupir gli Antichi, fe però non fingono, Perchè fcriveva un Elefante in Greco; Mà che direbbero or, che i Buoi dipingono? Arte alcuna non v'è, che porti seco Delle Scienze maggior neceffità;
Che de' color non può trattare il Cieco. Che tutto quel, che la natura fà,
O fia foggetto al fenfo, o intelligibile Per oggetto al Pittor propone,
Che non dipinge fol quel, ch'è vifibile: Mà neceffario è, che talvolta additi
Tutto quel ch'è incorporeo, e ch'è poffibile. Bifogna che i Pittor' fian eruditi,
Nelle Scienze introdotti, e fappian bene Le Favole, l' Iftorie, i Tempi, e i Riti,
Nè fare come un tal Pittor dabbene,
Che fece un Eva, e poi vi pinse un bisso Per non far apparir le parti ofcene.
E un Caftrone affai più di quel di Frisso 3) Un Annunziata fece, ond' io n'efclamo, Che diceva l' Offizio a un Crocififfo. E come compatir, fcufar potiamo Un Raffael Pittor raro, ed efatto
Far di ferro una Zappa in man d'Adamo?
E cento, e mille Ignorantoni affatto, Con barba vecchia, e con virtù fanciulla, I Panfili 4). sfidar prendono a patto.
3) Frifo, figlio d'Atamante, Rè di Tebe, il quale con Helle fua forella fugrirono le infidie d'Ino, fopra un montone, che aveva le lane d'oro. Hygin. Fab. 3o 4) Panfilio, maestro d'Apelle, famofo pittore Greco,
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