Odorico, che mastro era di In pochi colpi a tal vantaggio venne, Che per morto lafciò Corebo in terra, E per le mie veftigie il cammin tenne. Preftogli Amor, fe'l mio creder non erra Perchè poteffe giungermi, le penne, E gl' infegnò molte lufinghe, e preghi, Con che ad amarlo, e compiacer mi pieghi.
Ma tutto indarno, che fermata, e certa Più tosto era morir, che fatisfarli: Poi ch' ogni prego, ogni lufinga esperta Ebbe, e minacce, e non potean giovarli, Si riduffe a la forza a faccia aperta. Nulla mi val, che fupplicando parli De la fè, ch' avea in lui Zerbino avuta, E ch' io ne le fue man m'eră creduta.
Poi che gittar mi vidi i preghi in vano, Nè mi fperare altronde altro foccorfo, E che più fempre cupido, e villano A me venia, come famelico orfo: Io mi difefi con piedi, e con mano, Et adopraivi fino l'ugne, e il morfo; Pelaigli il mento, gli graffiai la pelle, Con ftridi, che n'andavano a le ftelle.
Non fo, le foffe cafo, o li miei gridi,
Che fi doveano udir lungi una lega,
ch' usati fian correre a i lidi,
Quando naviglio alcun fi rompe, o annega; Sopra il monte una turba apparir vidi, E quefta al mare, e verfo noi fi piega. Beifp. Samml. 6. B.
Ariosto. Come la vede il Bifcaglio venire, Lafcia l'imprefa, e voltafi a fuggire.
Ma perchè, fe mi ferban, com' io fono, Vergine, fperan vendermi più molto. Finito è il mefe ottavo, e venne il nono, Che fu il mio vivo corpo qui fepolto. Del mio Zerbino ogni fpeme abbandono; Che già per quanto ho da lor detti accolto, M'han promeffa, e venduta a un mercadante, Che portare al Soldan mi de' in Levante.
Così parlava la gentil Donzella,
E fpeffo con finghiozzi, e con fofpiri Interrompea l'angelica favella, Da movere a pietade Afpidi, e Tiri, Mentre fua doglia così rinnovella, O forfe difacerba i fuoi, martiri, Da venti nomini entrar ne la fpelonca Armati, chi di spiedo, e chi di ronca.
Nicolo Fortinguerra, cin Römer, geb. 1674, geff. 1735, schrieb ein sehr wißiges und geiftvolles Rittergedicht, Il Ricciardetto, in dreissig Gesängen, welches unter dem verdeckten Namen des Verfassers (Carteromaco), gedruckt wurde. Die Manier ist zwar arioßtisch, aber doch auch sehr original, befonders in den epigrammatischen Wendungen, die faßt überall am Schluß der Stanzen vorkommen. Ries ciardetto ift gleichfalls einer von den Rittern Karls des Groffen, der den Sohn eines afrikanischen und farazenischen Königes, Scricca, erschlagen hat. Despina, des Erschlas genen Schwester, reizt ihren Vater zur Rache und zum Kriege auf, an welchem sie selbst persönlichen Antheil nimmt. Zwischen ihr und dem Ricciardetto entsteht allmåhlig eine gegenseitige Liebe. Endlich wird der legtre Rarls Nachfolger, Scricca ein Chrift, und Despina die Gemahlin Ricciardetto. Diesen Stof hat die reiche und sehr blühende Einbildungskraft des Dichters mit mancherlei wundervollen Nebenhandlungen zu verflechten gewußt. Die aus dem Pulci und Ariost schon bekannten Ritter, den Ros land, Rinaldo, Astolfo und Olivieri, findet man auch hier wieder; und sehr original ist der Charakter des Ferrau', eines Kriegers und wollüftigen Mönchs, Man vergl. Hrn. Heinse's Briefe über dieß Gedicht im Teutschen Merkur pom J. 1775, Viertelj. II. S. 15. IV. S. 33. 242. Der dort befindliche Auszug sowohl, als die deutsche Ueberfegung in Versen vom Hrn. Prof. Schmitt in Liegniß, sind unvollen, det geblieben. Hier ist Filomene's Geschichte, womit der fünfte Gesang anhebt..
RICCIARDETTO, Canto V. St. 1-50,
NON fi può ritrovar al mio parere Cofa nel mondo, che più bella fia, E che ci apporti più dolce piacere,
E fia cagion di pace e di allegria; Quanto è l'udire e il dir parole vere, Senza fofpetto d'inganno e bugia; E la data parola e ftabilita
Mantener anche a prezzo della vita.
Come al contrario la pace rovina E del vivere ogni ordine confonde La lingua, che col core non confina; Ed una cofa moftra, una ne afconde La veritade ell' è cofa divina,
E in noi dal primo vero fi diffonde': La menzogna del diavolo è figliuola, E con effo va fempre, ovunque vola.
Felici quefte felve, e quefti boschi, U' pefte sì crudel non giunfe ancora! Qui non fi vedon lagrimofi e fofchi Occhi, che il noftro mal piangan di fuora; E il piangan folo, perchè tu il conofchi, E poi dentro del cor fefta e baldora Faccin de' mali tuoi, conforme fanno!. Quelli, che in mezzo alle gran corti ftanno:
Ma più d'ogni altro poi prezzar fi fuole La fè, che tra di lor danfi gli amanti, Che pria vedraffi senza luce il Sole, Che paftorelle o paftori incoftanti. Niun di tradimento qui fi fuole Dal dì, dall'ora, da que' primi iftanti Che d'amarfi l'un l'altra afferma e giura. Quel folo amor fino alla morte dura.
Nè a quel ch' io veggo, così bella ufanza Solamente è nelle Arcade contrade; La fedeltade ancora in Perfia ha ftanza, Come udirete, quando che vi aggrade, Se di narrarlo avrò tanta poffanza. Le dolorose flebili rugiade Afciugate s'avea la giovin bella, Quando che prefe a dire in tal favella:
In Bachia io nacqui, città ricca.e vaga Che del Mar nero in fu la riva fiede; Gente di mercantar cupida e vaga La dirizza le vele, o pure il piede. La cofa mia era contenta e paga De' beni, che fortuna ci concede; Perchè di Perfia, toltine ben rari, Niuno ha più di noi terre e danari.
Me fola il genitore ebbe, e fol' io De' giovani Perfiani era la brama; E la bellezza ancor del volto mio, Che del vero maggior dicea la fama. Accrefceva in ciascun voglia e defio D'avermi in moglie; e ciafcedun mechiama
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